Un’analisi recente del think-tank “Tortuga”, composto da studenti, ricercatori e professionisti nel campo dell’economia e delle scienze sociali, ha svelato una realtà allarmante riguardo alla disparità economica in Italia, con Milano che emerge come un esempio emblematico di questo fenomeno.
Le disuguaglianze salariali nella capitale della moda mostrano come le differenze tra i redditi di ricchi e poveri siano sempre più accentuate. Questo articolo esplora a fondo la situazione socio-economica di Milano, rivelando dati e suggerimenti per affrontare il problema.
Secondo i ricercatori di “Tortuga”, la situazione lavorativa a Milano appare sconfortante. Le fasce di popolazione più vulnerabili, come i giovani, coloro che possiedono un titolo di studio inferiore e i lavoratori delle piccole imprese, spesso percepiscono salari inadeguati che li pongono in difficoltà rispetto ai loro coetanei in altre parti d’Italia. Come riportato dal Corriere della Sera, la classe benestante di Milano risulta essere, per usare un termine semplice, molto più ricca rispetto ai pari in Lombardia e nel resto del Paese . Dall’altra parte, la classe media pur avendo un salario lordo di 13,21 euro all’ora, che equivale a un vantaggio del 9% rispetto alla media nazionale e del 5% rispetto alla Lombardia, trova difficile arrivare a fine mese a causa dell’elevato costo della vita.
L’indagine di “Tortuga” ha messo in luce che, per i giovani tra i 18 e i 29 anni, vivere e lavorare a Milano è una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Infatti, il costo di un paniere di beni essenziali per un solo individuo in questa città supera di ben il 23% quello delle altre aree metropolitane e di un incredibile 37% rispetto ai comuni con più di 50 mila abitanti. Questo significa che le coppie di lavoratori che rientrano nella fascia di età 30-59 anni affrontano un aumento del 22% delle spese rispetto ad altre città italiane, creando di fatto un divario sempre più grande tra chi guadagna bene e chi si trova a dover lottare per un tenore di vita decente.
Con queste premesse, il think tank propone un’idea innovativa: l’implementazione di un salario minimo volontario per le aziende, potenzialmente incentivato da politiche pubbliche più favorevoli. Si tratterebbe, in sostanza, di un “salario minimo di sussistenza”, qualcosa di simile al modello adottato a Londra, costruito su criteri oggettivi e costantemente aggiornato per riflettere le variazioni del costo della vita. L’urgenza di un intervento sorprende per la sua portata, ma risulta necessaria per garantire un’esistenza dignitosa a un numero crescente di lavoratori milanesi, i cui stipendi non bastano nemmeno a coprire i costi di base.
In Gran Bretagna, il concetto di salario minimo è già una realtà consolidata. Oltre a un salario nazionale fissato per legge, esiste anche un salario di sussistenza che le aziende possono adottare su base volontaria. Nel 2023, ad esempio, il salario minimo nazionale era fissato a 10,42 sterline, mentre il salario di sussistenza a Londra raggiungeva le 13,15 sterline. Quest’ultimo, determinato in base al costo dei beni e servizi essenziali per vivere dignitosamente, offre uno spunto di riferimento per immaginare qualcosa di simile a Milano.
I ricercatori hanno tentato di applicare il modello britannico a Milano, calcolando che una persona single tra i 18 e i 59 anni si trova a vivere sotto la soglia di povertà, stabilita intorno ai 1175 euro. Questo valore è così indicativo da spingere i lavoratori a cercare di ottenere salari adeguati per una vita dignitosa. Infatti, per guadagnare un salario lordo orario di circa 8,3 euro, i giovani milanesi devono affrontare difficoltà notevoli. Purtroppo, i dati mostrano che, in particolare, i giovani tra i 18 e i 29 anni spesso guadagnano ancora meno di questa soglia. Mentre quindi a Milano i redditi più alti possono vivere agiatamente, i giovani e le fasce più deboli lottano, a malapena, per la loro sopravvivenza economica.