Il recente studio pubblicato sulla rivista “Current Biology” ha rivelato sorprendenti scoperte relative ai resti di persone che persero la vita nell’eruzione del 79 d.C. a Pompei.
Grazie all’analisi del DNA di calchi ritrovati nel famoso sito archeologico, i ricercatori hanno messo in luce informazioni inaspettate sulla vita e le relazioni familiari di alcuni abitanti dell’antica città. Questo articolo esplora in dettaglio i risultati, che mettono in discussione le interpretazioni tradizionali, portando alla scoperta di un passato più complesso e affascinante.
Quando si parla di Pompei, spesso si immaginano immagini romantiche e drammatiche di corpi abbandonati nella cenere. Tuttavia, i 14 frammenti scheletrici analizzati nello studio non sono corpi nel senso stretto, bensì calchi. Questi sono stati formati grazie alla decomposizione di materiali organici, creando vuoti che sono stati successivamente riempiti con gesso per preservare le forme originali. I calchi dunque non sono solo rappresentazioni di come le persone sono morte, ma anche una finestra su un passato dimenticato, che ora gli scienziati cercano di esplorare. I ricercatori che hanno condotto il lavoro, provenienti da università prestigiose, come l’Università di Firenze e Harvard, hanno potuto analizzare campioni di DNA microscopici, aprendo nuove strade per comprendere non solo la vita degli antichi pompeiani, ma anche le connessioni familiari che li legavano.
Risalendo alle origini di questa pratica, bisogna menzionare Giuseppe Fiorelli, il primo direttore del sito archeologico di Pompei che nel XIX secolo ha sviluppato questa tecnica innovativa. Grazie alla sua intuizione, i vuoti lasciati dai corpi sono stati riempiti con gesso, dando vita a una serie di calchi che raccontano storie di vita quotidiana e di tragedia. Tuttavia, la preservazione di tali dettagli ha ovviamente suscitato anche molto interesse e discutibili interpretazioni, da parte di archeologici e storici. Lo studio recente cerca di rompere queste narrazioni preconfezionate.
Analisi del DNA e scoperte inattese
La vera essenza di questa ricerca si concentra su ciò che è stato rivelato dal DNA estratto dai calchi. Fino a questo momento, molti degli individui sono stati interpretati sulla base della loro posizione al momento del ritrovamento e degli accessori indossati, portando a conclusioni errate circa le loro relazioni familiari e il loro sesso. Ad esempio, la scoperta di un individuo portante un bracciale d’oro, fino ad ora considerato una madre, si è rivelata essere un maschio adulto. Un’altra scoperta notevole riguarda due individui che sono stati interpretati come due sorelle o madre e figlia. I test genetici, invece, hanno dimostrato che uno di loro era un maschio senza alcun legame biologico con l’altro.
Questo cambia completamente la narrazione storica. Le nuove scoperte suggeriscono che le famiglie, quelle percepite facilmente dagli archeologi, potrebbero non essere ciò che sembrano. In alcuni casi, l’interpretazione tradizionale ha dovuto cedere il passo a un modello più complesso e sfumato. Il DNA ha dimostrato che le relazioni familiari tradizionali non possono sempre essere date per scontate, mettendo in discussione l’idea che l’appartenenza a una famiglia possa essere identificata solo tramite la prossimità fisica. Il tutto è cruciale per capire la composizione sociale della Pompeii antica, rivelando potenzialmente una società diversa da quella che ci si aspettava.
L’importanza di un’integrazione multidisciplinare
Il lavoro di David Caramelli, antropologo dell’Università di Firenze, sottolinea come l’unione di analisi genetiche e dati archeologici possa arricchire notevolmente le narrazioni storiche. Attraverso la sua analisi, emerge chiaramente che le storie tradizionali sull’assegnazione di ruoli di genere e parentela necessitano di un’interpretazione più sofisticata. Caramelli ha messo in luce che gioielli e ornamenti non dovrebbero essere necessariamente associati alla femminilità, mentre situazioni di vicinanza fisica, come abbracci, non sempre corrispondono a legami di sangue. La rilevanza di queste nuove informazioni è enorme: aiuta a spostare i confini di quanto conosciamo delle società antiche, suggerendo un tessuto sociale più articolato, caratterizzato da interconnessioni inaspettate.
Il lavoro di Alissa Mittnik, ricercatrice presso il Max Planck Institute, ha chiarito ulteriormente l’importanza delle scoperte. L’analisi evidenzia una necessità impellente di integrare i dati genetici con informazioni storiche e archeologiche, per ottenere una visione più fedele delle civiltà passate. In pratica, questa ricerca invita alla cautela nell’interpretazione dei resti umani e delle scoperte archeologiche. In un certo senso, serve da monito su quanto possano essere infondate alcune teorie costruite su pregiudizi moderni e su come l’analisi scientifica possa, invece, offrire una chiave accessibile per il passato.
Le origini della popolazione pompeiana e nuove prospettive
Un altro aspetto intrigante dello studio concerne le origini degli abitanti di Pompei. I dati fino ad ora raccolti sembrano indicare che la popolazione avesse una significativa componente di immigrati provenienti dal Mediterraneo orientale, suggerendo carmicità e mobilità all’interno dell’Impero Romano. Questo non solo svela dettagli demografici interessanti ma invita anche a riflettere sul modo in cui diverse culture e etnie si mescolavano tra di loro, portando alla formazione di una società complessa e diversificata.
La ricerca mette in evidenza quanto possa essere affascinante, e ancor più complesso, il tessuto sociale di Pompei, che si ricollega a scambi culturali e interazioni umane. Questo è essenziale, perché offre uno spaccato di un’epoca in cui gli spostamenti di popolazione non erano una novità e contribuivano all’intreccio di differenti tradizioni. Phil Perkins, archeologo che ha collaborato nello studio, ha parlato della capacità dell’analisi scientifica di rivelare una nuova comprensione sui modi di vita e le interazioni sociali delle vittime di Pompei.
Il futuro quindi sembra promettente per ulteriori ricerche, che potranno continuare a scoprire e raccontare storie in grado di sfidare il modo con cui comprendiamo il passato.