Il 14 novembre 1951 segna una data tragica nella storia del Polesine, un evento che ha lasciato segni indelebili nella memoria collettiva e ha profondamente segnato il territorio.
Con una serie di piogge torrenziali e una gestione carente degli argini del fiume Po, si è assistito a un’alluvione devastante che ha causato la morte di 101 persone e ha provocato danni enormi sia sul fronte economico sia infrastrutturale. Questo articolo invita a rivivere quegli istanti drammatici e a comprendere le cause e le conseguenze di un disastro che ha toccato la vita di centinaia di migliaia di persone.
Le condizioni meteo prima dell’alluvione
L’anno 1951 fu caratterizzato da un clima particolarmente avverso in Italia. Prima del catastrofico 14 novembre, il paese era già stato colpito da una sequela di eventi meteorologici inclementi. Le piogge insistenti tra gennaio e ottobre avevano causato in tutto il territorio nazionale più di 150 vittime. La situazione si fece particolarmente critica a novembre, quando il nord Italia, e in particolare il Polesine, subì un incremento delle precipitazioni. Qui, le piogge raggiunsero livelli allarmanti, con picchi quotidiani di pioggia che superavano ciò che era stato registrato nei cinque anni precedenti.
Questo accumulo precipitativo contribuì a un rapido ingrossamento del fiume Po, oltrepassando i livelli di guardia e causando la rottura degli argini. Non sorprendono quindi le catastrofi: tra l’11 e il 12 novembre, il Po si ingrossò notevolmente, aggravando la già difficile situazione. Quella notte, le acque iniziarono a straripare, destabilizzando una situazione già precaria. La catena di eventi che portò al disastro del Polesine si rivelò ben più di un semplice cattivo tempo; è stata il risultato di negligenze nella manutenzione delle strade, oltre a scelte di gestione degli argini che lasciarono a desiderare.
L’alluvione nel Polesine
Il Polesine, cuore pulsante di una regione storicamente legata ai corsi d’acqua, era già un territorio fragile prima del catastrofo. Sul suo suolo si snodano i fiumi Adige e Po, e il paesaggio è spesso pianeggiante, con molte aree situate al di sotto del livello del mare. Questo ha comportato, nel corso degli anni, la costruzione di numerosi argini e dighe per proteggere le terre agricole e le abitazioni dall’ingresso dell’acqua. Tuttavia, gli eventi bellici avevano indebolito queste strutture, e una volta trascorso il conflitto, la manutenzione effettiva era stata completamente trascurata.
Le località più colpite furono Santa Maria Maddalena e Occhiobello, dove il 14 novembre il Po ruppe gli argini in ben tre punti strategici. L’acqua, crescendo in modo allarmante, avanzava di minuto in minuto, mentre le autorità preposte non furono in grado di agire con la dovuta tempestività. La catastrofe, già in atto, avveniva sotto gli occhi impotenti di chi aveva l’obbligo di proteggere il territorio. L’argine della Fossa Polesella, che avrebbe potuto fare da scudo, non fu aperto in tempo; così facendo, la corrente iniziò a risalire non solo verso i campi agricoli, ma anche verso le abitazioni, rendendo impossibile qualsiasi tentativo di arginare la situazione.
I danni dell’alluvione del Polesine
I danni dell’alluvione del Polesine sono innumerevoli e devastanti. Le acque arrivarono a coprire un’area vastissima, stimata tra i 1170 km², con una profondità di ben 6 metri nella zona più critica. La devastazione infrastrutturale fu altrettanto imponente: infatti, circa 950 km di strade furono compromesse, 60 km di argini distrutti, e 52 ponti resi inutilizzabili. Le abitazioni colpite furono più di 4100, e tra le aziende agricole, furono contati 13800 casi. Se si aggiungono anche fabbricati e macchinari agricoli, il quadro complessivo è veramente allarmante.
Non solo interessato fu il patrimonio edilizio, anche la vita umana subì un colpo micidiale. La tragica vicenda colpì 101 persone, e il numero dei dispersi superò le sette unità. La folla di sfollati, circa 180 mila, fu costretta a lasciare le proprie case e a mettersi in cerca di riparo. Solo a Frassinelle, un episodio drammatico avvenne quando un camion dei soccorsi, bloccato nel fango, si rovesciò portando alla morte 84 persone, un bilancio che rende la portata di questa calamità ancora più straziante.
Senza dimenticare la perdita del patrimonio animale di circa 16 mila capi di bestiame. Le perdite economiche furono colossali – valutate intorno ai 7 miliardi di euro odierni – e segnano un capitolo tragico della storia di questa regione. Per far defluire l’acqua rimanente, fu necessario far saltare, tra il 24 e il 26 novembre, la Fossa Polesella con enormi quantità di esplosivo. I lavori di ripristino degli argini avvennero solo nel 1952, ma i segni rimasti sulle persone e sul territorio rimarranno indelebili nel tempo.