La nostra Costituzione riconosce il diritto di manifestare. Ma quand’è che per legge i poliziotti possono intervenire usando la forza?
Il rapporto tra la gestione dell’ordine pubblico e il diritto – costituzionalmente garantito – di manifestare è tornato prepotentemente d’attualità con gli scontri tra studenti (diversi dei quali minorenni) e polizia avvenuti a Pisa in occasione delle manifestazioni pro-Palestina del 23 febbraio.
Quanto successo ha scosso profondamente l’opinione pubblica e anche il Capo dello Stato ha preso posizione contro le cariche da parte della polizia. Per Mattarella infatti «i manganelli contro i ragazzi esprimono un fallimento». D’altro canto la legge permette alle forze dell’ordine di usare la forza per sedare le manifestazioni, ma solo in casi ben precisi e entro determinati limiti.
Sui fatti di Pisa è in corso un’indagine da parte dell’autorità giudiziaria. Ma quali sono i limiti che le autorità di pubblica sicurezza sono tenute a rispettare quando si tratta di assicurare l’ordine pubblico? Cerchiamo di capirlo.
Il diritto di riunirsi pacificamente e senza armi in un luogo pubblico (una strada o una piazza) o aperto al pubblico (cinema, bar, ristorante) è riconosciuto dall’articolo 17 della nostra Costituzione. Ma è altrettanto vero che le grandi manifestazioni, specialmente nei luoghi pubblici, possono dar luogo a rischi per la pubblica sicurezza.
Per questa ragione le forze dell’ordine possono legittimamente intervenire anche con la forza durante le manifestazioni. Ma non in maniera arbitraria, bensì per gravi e comprovate ragioni di sicurezza o di ordine pubblico. I limiti di questi interventi sono fissati dal Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.): la polizia può caricare i manifestanti nel caso delle cosiddette adunanza sediziose, cioè quelle non sciolte dai manifestanti malgrado i reiterati avvertimenti da parte delle forze dell’ordine.
Una manifestazione è considerata sediziosa (ai sensi degli artt. 20 e ss. del T.U.L.P.S) quando l’adunanza fomenta o promuove azioni violente contro i poteri costituiti, in grado di mettere in pericolo la sicurezza dei cittadini o l’ordine pubblico, e nel corso delle quali si commettono delitti. Anche le cariche della polizia devono poi limitarsi agli interventi strettamente necessari per interrompere la manifestazione e riportare le condizioni alla sicurezza.
Armi e strumenti di coazione fisica (come sfollagente, manganelli, idranti, manette e via dicendo) possono essere impiegati dalla polizia, anche nella repressione di una manifestazione, soltanto per vincere le resistenze, impedire le violenze e la commissione di gravi delitti. Gli agenti possono usare la forza anche per la legittima difesa, ma in misura proporzionale all’offesa. Ad esempio non è consentito manganellare un manifestante se questo si limita a insultare o se rifiuta solo di interrompere un sit-in.
In altre parole l’uso della forza da parte delle forze dell’ordine rappresenta l’extrema ratio e va contenuto entro limiti ben precisi. Provocazioni e insulti di scarsa entità non giustificano l’innesco di uno scontro fisico con i manifestanti. Il principio di proporzionalità della reazione deve essere mantenuto anche nella gestione dell’ordine pubblico. Le cariche vanno limitate dunque ai momenti in cui risultano l’unica soluzione per disperdere chi concretamente sta minacciando la sicurezza pubblica o l’incolumità personale degli agenti.
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