La depenalizzazione dell’ingiuria ha ristretto le ipotesi che consentono il risarcimento danni. Quando è ancora possibile denunciare?
Attenzione quando si pronunciano offese o parolacce nei confronti di terzi soggetti, perché le conseguenze potrebbero essere molto gravi.
Le vittime, infatti, potrebbero decidere di presentare denuncia e i responsabili potrebbero essere puniti per la commissione del reato di diffamazione, con pene che consistono nella reclusione fino a 2 anni o nella multa fino a 2.065 euro oppure nella reclusione da 6 mesi a 3 anni o nella multa pari almeno a 516 euro (nel caso in cui la diffamazione avvenga tramite i mezzi di comunicazione).
Quali sono i rimedi legali contro gli insulti? In che modo si possono denunciare? Vediamo cosa stabilisce la normativa.
Chi subisce un insulto può denunciare l’accaduto direttamente presso i Carabinieri. Si parla, in tal caso, di querela di parte, da compiere entro 3 mesi dal fatto, e può essere effettuata solo dalla vittima.
In seguito alla depenalizzazione del 2016, tuttavia, la denuncia non può pervenire nel caso di ingiuria, cioè quando un soggetto viene offeso di persona ed è presente per potersi difendere. In tali ipotesi, la legge permette alla vittima di agire solo in sede civile.
In altre parole, l’unico rimedio è la causa civile che, però, può avere tempi molto lunghi e non garantisce il risarcimento del danno subito. Ma in caso di vittoria, il colpevole dovrà non solo risarcire i danni ma sottostare a una sanzione pecuniaria di importo compreso tra 100 e 12 mila euro, determinato a seconda della gravità del fatto e del comportamento del colpevole.
Per poter ottenere il risarcimento danni in sede civile, la persona offesa dovrà necessariamente provare in concreto il danno subito.
La normativa italiana prevede una particolare eccezione alle regole appena elencate, quando il responsabile degli insulti è il coniuge. Con la sentenza n. 5405/2018, la Cassazione ha stabilito che le offese le parolacce reiterate, anche se pronunciate sporadicamente, possono integrare il reato di maltrattamenti familiari, previsto dall’art. 572 del Codice Penale.
In tal caso, è stabilita la pena della reclusione da 2 a 6 anni, se la vittima è costretta a subire sofferenze da parte di un convivente o di una persona a lei vicina per ragioni educative, come il coniuge, un fratello, il genitore o un insegnante.
La pena è applicata anche se vengono compiuti soprusi psicologici o verbali. Se sussiste il requisito della convivenza, inoltre, la denuncia per insulti familiari può pervenire anche dall’ex coniuge.
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