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Estero

Europa

Allegri, non è successo niente

Dopo alcune settimane di dibattiti, iniziata dagli Organi dell’Unione Europea, la procedura di infrazione per il bilancio 2019, voci sconosciute ed altre autorevoli o quasi si affannano a spiegarci che non è successo niente. Ci saranno contraccolpi: ma mica subito. Seguiranno altri provvedimenti antinfrazione, ma dovranno passare mesi. Uscita l’Italia (cioè cacciata) dall’Unione Europea? Sì, ma ci vorrà qualche anno.
Catastrofe? Non bisogna esagerare e, poi se ne dovranno ancora verificare i prodromi.
Anche alcuni “specialisti” pare che abbiano scelto la specialità della specialità consistente nel “tranquillizzare” gli Italiani.
C’è da meravigliarsi? E’ una forma d ulteriore incoscienza?
Direi che questa fase è quella meno imprevedibile. Che volete che Di Maio e Salvini inizino un concerto di piagnistei per la situazione in cui ci hanno cacciato?
E, poi, non avete visto come è stato facile?
Del resto, è così anche per i privati.

I miei genitori si sarebbero sottoposti al martirio pur di non firmare una cambiale, cosa che riuscirono a non fare e fecero sì che anch’io in tutta la mia vita non ne abbia mai firmato una. Ma c’è chi è assai più disinvolto ed è capace di spiegarci che a firmar cambiali non ci vuole niente. In un racconto di molti anni fa leggevo che negli inventari delle spese di una impresa cinematografica figurava la voce: “cambiali: Lire 15.250”. Poco assai, in verità, come aveva notato un certo ispettore. Senonché quello era il costo dei moduli bollati acquistati in tabaccheria. Un costo sopportabile, come avrebbe spiegato un economista di quelli di cui parlavano poc’anzi.
Quello del debitore, e di debitore disperato (si fa per dire), è infatti una professione che, una volta intrapresa, porta a forme di ragionamento e di sensibilità del tutto particolari, con una concezione del tempo, delle scadenze ancor più particolari. Ed una capacità di vivere alla giornata da far invidia ad un nababbo.
In politica, poi i debitori di professione sono ancor più specialisti e vivono benissimo, malgrado, i debiti in cui annega lo Stato, la Regione, il Comune. Insomma Pantalone. Cioè annegherà, ma solo dopo le elezioni. Ed allora di che preoccuparsi?

Mauro Mellini
22.11.2018

Quel grottesco sconfinamento che dovrebbe "ribadire" i confini

Questa storia, anzi, queste storie, perché pare che i casi siano due, di non meglio qualificati francesi in tuta mimetica, giubbotti antiproiettile ed armi non precisate che si sarebbero inoltrati, sconfinando, in territorio italiano, si direbbe siano state organizzate dall’Ufficio Studi del Ministro dell’Interno con vocazione e supplenza per gli Esteri del Vicepremier Matteo Salvini.
Sì, insomma, quelli, che un po’ d’anni fa sarebbero stati subito qualificati come extraterrestri, con addebito a militari, C.I.A. e Governo di averli fatti scomparire, cancellando tracce e testimonianze, oggi, violando i confini, ribadiscono il valore pieno e chiamano la gente alla riscossa “sovranista” in difesa dell’inviolabilità del ruolo della Patria.
Però gli “sconfinamenti” sul crinale alpino delle Francia non sono cosa nuova.
A parte Annibale con i suoi elefanti e con la sua tecnica di scioglimento delle rocce con l’aceto e, poi le altre invasioni fino a Napoleone, storie di veri e propri “sconfinamenti” ve ne furono tanti. Se ne parlò specie quando i rapporti con la “Sorella Latina” non erano proprio fraterni. Qualcosa del genere racconta nel suo libro di memorie il Generale Eugenio De Rossi. E sempre il grottesco si affaccia nei nostri rapporti con la Francia. Magari la storiella del “Generale Mannaggia La Rocca”.

Ma queste due storielle che inutilmente cerco di convincermi non siano state organizzate da qualche troupe cinematografica su commissione di Matteo Salvini, sembrano proprio realizzate su di un modello cinematografico. Non mi ricordo come si chiama il film. Uno dei tanti e nemmeno il peggiore di quelli che ci ammanniscono. Ricordo che attore principale era Montesano. Lo “sconfinamento” però era inverso. Un reparto, non so se di Bersaglieri aveva perso la bussola durante le manovre nei pressi del confine svizzero ed aveva “occupato alcuni villaggi delle Confederazioni” provocando una specie di guerra, sia pure incruente, tra i due Stati.
Può darsi che qualche amico di Salvini, insomma qualche autorevole “sovranista” si sia ricordato di quel film ed abbia pensato che vicende come quella in essa narrata, ripetute cambiando direzione all’”invasione” sarebbero state ottima cosa per far rivivere un po’ di spirito nazionale, nazionalista e quindi sovranista.
Non siamo solo noi cittadini comuni a doverci interrogare con il classico detto romano “che s’ha da fà pe’ campà”.
Anche i nostri governanti (diciamo così, tanto per dire) sono in ansia e lotta quotidiana per “campà”. Si interrogano che s’abbia da fare. Solo che, magari, trovano che “da fà” debbono essere gli altri.

L’esempio della scienza giuridica straniera

Mi accade spesso nei miei scritti di denunzia del disastroso sgretolarsi dell’impianto stesso del nostro ordinamento giuridico, specie penale, sotto i colpi della legislazione e della giustizia delle emergenze, ma, soprattutto, dell’asinità di legislatori, magistrati, marciatori per lo Stato di diritto, di formulare giudizi assai pesanti sulla connivenza vile ed inconcludente della scienza giuridica, dei professori universitari. Connivenza ed inerzia vile che per qualche vero e per qualche caso sono già una valutazione benevola rispetto a quella che è, invece una vera e propria partecipazione stolta ed obbrobriosa alla vandalica opera di demolizione delle conquiste del diritto post-illuministico.
Ci sarà naturalmente, chi vorrà definire questa mia indignazione una forma di senile brontolio di uno che non ha mai preteso di essere considerato un giurista esponente di questa scienza, benché così caduta in basso del nostro Paese.
Voglio quindi sottolineare il fatto che fuori d’Italia, la scienza giuridica, i professori universitari delle facoltà di giurisprudenza sono invece capaci ed impegnati ad una aperta censura di fenomeni, benché assai meno gravi di quelli che qui si verificano in preoccupante crescendo, di disapplicazione di principi fondamentali del diritto e della civiltà giuridica e capaci di additare come deleteri tali fenomeni nel loro insegnamento, non senza denunciarne le responsabilità.
Ho avanti a me un testo universitario spagnolo (Università Complutense di Madrid) “Instituciones de derecho penal espanol – parte general” dei professori Manuel Cobo del Rosal e Manuel Quintanar Diez, appartenenti a due generazioni di giuristi. Il Primo “patriarca dei penalisti spagnoli”, già fiero sostenitore e difensore della resistenza culturale al regime franchista, morto qualche anno fa. Giovane e valoroso suo allievo, con una lunga esperienza anche nelle Università tedesche ed italiane il secondo.
Ora a pagina 83 di tale volume è il capitolo intitolato “Metodos de elusion del monopolio de la ley penal” che tratta il fenomeno della violazione da parte dei pubblici poteri, del principio di legalità (“nullum crimen, nulla poena sine praevia lege penali”). Un principio da noi assai più che in Ispagna violato e vilipeso da legislatori, governi, magistrati.
Ecco una traduzione, di quelle mirabili pagine.
“Come avviene tale violazione: “creazione giurisprudenziale del “diritto…retroattività della legge penale, …analogia…norme dettate dal “potere esecutivo,…precetti penali indeterminati, tanto in ciò che riguarda i “delitti, tanto per ciò che attiene alle pene…In questa direzione dobbiamo “rimetterci al già esposto principio di tassatività penale nel senso della “rigidezza, chiarezza e delimitazione dell’ambito di ciò che è punibile, che “la legge penale deve assicurare… Ciò comporta l’uso di termini rigidi, “chiari e precisi, il senso del cui contenuto corrisponda con l’uso abituale “della lingua (del paese per il quale si legifera) tanto per ciò che si riferisce “dei tipi penali, tanto per ciò che attiene alla previsione delle pene, la cui “durata in astratto deve essere individuata con concisione tale che non “possano sortire limiti eccessivamente ampi….”.
“Allo stesso fine deve essere evitato l’impiego di termini tipici…che “rimettano ad altri ordini normativi per il loro chiarimento…
“Curiosamente, le maggiori aggressioni al principio di legalità della legge “penale, di certezza di forma eccellente…di chiarezza e di tassatività, “paradossalmente avvengono, nei nostri tempi, dalla stessa legge…E’ il “potere legislativo che…qualche volta in maniera cosciente, altre volte in “maniera incosciente, per incompetenza, mancanza di conoscenza, “formazione, valutazione del linguaggio in materia criminale. In altre occasioni lo fa coscientemente, anche utilizzando l’involuta tecnica che gli mette a disposizione la dottrina giuridica…”.

Questo si scrive dai docenti di Università Spagnole. Andate a trovare professori universitari italiani che, benché abbiano di fronte una realtà enormemente più grave, osino fare altrettanto.
“Il coraggio, quando uno non ce l’ha, non può darselo”. Così diceva Manzoni. Io mi accontento dell’espressione plebea: “non si cava il sangue dalle rape”.

Mauro Mellini
03.10.2017

Europa e Papa ci dicono: arrangiatevi

I nostri governanti sembra si siano svegliati: hanno infine capito che a fare i primi della classe nella storia dell’”accoglienza” dei migranti c’è da rimetterci le penne, oltre che come Nazione e Stato, come partiti e personaggi esposti al voto popolare. E chiedono aiuto all’Europa, non, naturalmente, a Bergoglio, che non gli vorrebbe nemmeno assicurare un posto in Paradiso.

E l’Europa, la Spagna e la Francia che dei nostri “insegnamenti” di morale migratoria se ne sono saggiamente fottuti, se ne fottono delle nostre invocazioni di aiuto. Sbarcare i migranti raccolti in mare sulle loro coste? “Non ci provate” ci dicono. E non c’è proprio da meravigliarsene e poco ci aiuta dolersene.

Ce la siamo andata a cercare.

Se la sono andata a cercare. Continuate a fare come vi siete vantati di aver fatto finora, ci dicono. Arrangiatevi, è “cosa vostra”. Né Gentiloni, né Minniti, né Renzi hanno il fegato di mandare le navi avanti a Marsiglia e a Barcellona o di scaricare (la parola è brutta e crudele, ma crudeli sono gli altri con noi) gli autobus dei migranti in Piazza San Pietro.

Bergoglio tace. Non spende una parola di giustizia distributiva dell’onere della sua carità sulla pelle dell’Italia.

Paghiamo, paghiamo tutti, giusti e peccatori, le cavolate moralistiche dei nostri governanti, dei nostri preti, magari dei nostri Bonino e Spadaccia, per non trascurare anche quelli che non hanno contato e non contano niente. Ora sono costretti ad invocare aiuto.

Chi tardi arriva male alloggia e male è costretto a far alloggiare.

Un’altra delle tante sciagure che il cattocomunismo, la pseudocultura di Sinistra hanno regalato al nostro Paese.

Con la sciagura, inoltre, di quelli che sbraitano e, come si dice a Roma “ci inzuppano il pane”.

Mauro Mellini

04.07.2017

Europa: sovranisti e sopranisti

(E nodi al pettine)

Un’ondata di antieuropeismo d’accatto serpeggia in un po’ tutte le formazioni di una sostanziale “antipolitica” (che non è solo quella Grillina) in Italia ed altrove.

Che la politica europea, federalista, unionista, trovi resistenze e susciti malumori è, di per sé, del tutto fisiologico.

A ben vedere ci sarebbe stato da dolersi del fatto che la politica europeista sia stata per lunghi anni accettata passivamente ed acriticamente da tanta parte dell’opinione pubblica e delle forze politiche, salvo l’ostilità pregiudiziale, finché è durata ed ha avuto un qualche senso, di quanti rifiutavano il carattere difensivo antisovietico che pure ebbe l’Unione.

Oggi vengono al pettine i nodi di troppi aspetti dell’evoluzione dell’Unione Europea accolta con indifferenza e senza una adeguata riflessione in ordine degli effetti sui nostri interessi nazionali.

Ma torniamo, per un momento all’antieuropeismo venuto di moda. C’è in esso, più che una visione “campanilistica” dei problemi politico-economici, una totale mancanza di quadratura politica.

Una questione di enorme rilievo come quella della costituzione di una nuova grande comunità politico-economica, non può essere oggetto di vicende, interessi, culture “alla giornata”. Sentir predicare certi “sovranisti” che l’Europa ci impoverisce farebbe ridere se non fosse motivo di allarme e di grave preoccupazione. Come lo sono, in generale, tutte le baggianate che tendono a divenire dogmi.

Tale affermazione è assurda e falsa, perché avrebbe senso solo se potesse riferirsi ai settant’anni che oggi compie l’Europa comunque Unita. Un simile giudizio espresso sul breve periodo, sia pure di un paio di decenni, non ha senso. Nei settant’anni l’Italia ha trovato nell’Unità Europea la fonte e la forza di un progresso economico che, bene o male, l’ha portata tra le prime potenze industriali del mondo, che da secoli non era neppure pensabile. E questo dopo l’Autarchia sciagurata e la guerra disastrosa.

Il fatto è che di questo prezioso progresso la nostra classe dirigente è stata cattiva custode.

Il contributo italiano all’indirizzo politico-economico europeo è stato, negli ultimi cruciali anni, del tutto trascurabile e, comunque, inadeguato e miope.

Le cose sono andate avanti alla meno peggio finché l’incombere della minaccia sovietica ha imposto alla U.E. un ruolo non troppo dissimile da quello della N.A.T.O.

Ma la dissoluzione dell’U.R.S.S. e del blocco sovietico ha dato luogo ad una trasformazione pressoché totale della struttura e dei compiti dell’Unione. Questa ha reagito in modo elementare e non meditato e l’Italia non ha avuto da dir nulla in proposito, benché ne fosse totalmente stravolto il suo ruolo e le sue condizioni economiche e politiche nel contesto Europa.

L’unificazione tedesca ha già alterato gli equilibri interni dell’Unione. Ma era inevitabile. Non altrettanto lo era l’espansione frenetica ad EST con l’ingresso di una quantità di Stati destinati a far da clientela alla Germania, sbilanciano l’Unione in una direzione cara alla tradizione dell’imperialismo tedesco e certamente, malgrado le apparenze, tale da far concorrenza al ruolo dell’Italia, così implicitamente declassata.

E’ poi sopravvenuta l’emergenza dello scontro con l’EST islamico (che diversamente è inutile voler definire).

Mentre nel contrasto degli anni della guerra fredda con l’U.R.S.S., l’Italia ha potuto stare in seconda linea, fruendo a buon mercato della protezione militare americana e di quella europea, nel nuovo scontro epocale ci troviamo in prima linea, a subire anche e soprattutto il flusso migratorio che accompagna lo scontro e ne è strumento.

Si grida contro l’Europa. Ma si dovrebbe gridare e non solo gridare contro una classe dirigente italiana che non ha saputo muovere un dito perché l’Europa non si comportasse come si è comportata e si comporta, cioè male, malissimo. La passività del nostro atteggiamento, sia nella questione della creazione dell’euro, con i relativi vincoli, sia in quella della risposta all’ondata migratoria, di fronte alla quale nulla potremo ottenere dall’Europa finché andremo predicando gesuiticamente “il dovere dell’accoglienza”, magnificando una società multietnica prossima ventura, non potrà che darci delusioni e danni gravissimi.

Di fronte a tutto ciò, l’antieuropeismo alla giornata di chi cerca di farne strumento di demagogia è miserevole e sciagurato.

Ora hanno inventato una definizione della loro posizione: “sovranisti”. Definizione essa stessa stupida, perché non è questione di “sovranità”. Sto diventando cattivo e un po’ volgare, ma quando sento parlare di “sovranisti” corro subito al cambio di consonante: “sopranisti”. Termine che non è un neologismo, ma che ha invece una lunga storia. Così si chiamavano fino al secolo XIX quei cantanti che sfoderavano meravigliose voci di soprano. Ma erano uomini, o, almeno, quasi. Erano stati castrati da bambini, per essere ceduti a caro prezzo soprattutto ai cori delle Chiese, ma che toccavano i vertici del successo e della notorietà quando giungevano a cantare in teatro. In ruoli femminili.

Oggi i “sopranisti” esprimono ruvida e fiera virilità. 

Se è questo il mondo che cambia…

                                                                        Mauro Mellini 

23.03.2017

La questione macedone agli occhi di Bruxelles

di Giovanni Di Carlo

Il decennale dibattito riguardante l’adesione della Repubblica di Macedonia all’Unione Europea, generato dalle controversie riscontrate con il governo bulgaro e quello greco, è tutt’oggi una fra le più delicate questioni politiche che la regione balcanica si trova a dover affrontare. Sin dai primi anni novanta, le autorità elleniche hanno dimostrato fermezza riguardo la disputa nominale che vede coinvolti i due paesi, durante la quale la Grecia si è duramente dimostrata contraria al fatto che la Repubblica di Macedonia avesse assunto tale nome successivamente alla dissoluzione della Jugoslavia.
La disputa, che ha raggiunto una fase di stallo grazie all’intervento del’ONU, verteva inoltre sul radicale rifiuto della bandiera macedone da parte di Atene, la Stella di Vergina, simbolo della dinastia di Filippo II di Macedonia, padre di Alessandro Magno, personaggio di fondamentale rilievo culturale all’interno della storia ellenica.

Una controversia storico-nominale di scialba entità di fronte alla possibilità di integrare nella comunità europea uno fra i pochi paesi che pacificamente hanno preso le distanze dalla Jugoslavia dopo lo scioglimento della Repubblica Federale, ma egualmente legittimata dal diritto di veto che investe le autorità greche.
Intenzionata inoltre a far fronte ad una complessa situazione politica interna, l’Unione Europea continua a sostenere il ritorno alle urne dei macedoni a favore dell’elezione del Primo Ministro dopo le costrette dimissioni del leader del Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone, il conservatore Nikola Gruevski.
L’ormai ex premier, già Ministro delle Finanze, il quale era stato accusato di brogli elettorali e di intercettazioni a danno di 20.000 fra giornalisti e politici macedoni, non era visto di buon occhio neppure dalla minoranza albanese che abita il paese, corrispondente a circa un quarto della popolazione totale; a quanto sembra trapelare, con l’intento di distogliere l’attenzione mediatica dalla preoccupante protesta popolare contro il suo governo cominciata nel maggio del 2015, Gruevski ha infatti giudicato un gruppo di albanesi kosovari responsabile dei tragici eventi di Kumanovo.

Dopo l’elezione ad interim di Emil Dimitriev nel gennaio scorso, il malcontento popolare continua ad essere espresso nei riguardi delle scelte governative che prevedono la concessione della grazia verso manifestanti ed esponenti politici come Gruevski stesso, nella comune preoccupazione per le condizioni di una democrazia che continua a sgretolarsi a discapito di una imprescindibile tutela dei diritti civili, in attesa delle elezioni politiche fissate - grazie alla mediazione diplomatica di Bruxelles e degli Stati Uniti - nel mese di dicembre.

La comprensione di Bergoglio non basta

Per la prima volta in Europa il terrorismo islamico colpisce specificamente i Cattolici e la Chiesa.

C’era una diffusa convinzione che la “comprensione” di Papa Bergoglio non certo per il terrorismo, ma per l’assalto musulmano all’Occidente, e poi le “attenuanti” che il Papa sembra portato a riconoscere ad esso, la “provocazione” che secondo lui le vittime del primo massacro in Francia, avrebbero messo in atto avendo osato irridere a Maometto, affermata nella famosa parabola del “carc’in culo” santissimo a chi “offende i miei genitori”, avrebbero indotto gli strateghi della jihad ad indirizzare la loro ferocia su obiettivi diversi da quelli specificamente cattolici.

L’episodio di Saint Entienne du Rouvray, primordiale per la ferocia e per la rozzezza dell’organizzazione, e per gli strumenti (i coltelli) nonché per la “tattica” fa, certamente, pensare ad un attacco intervenuto al di fuori di programmi organizzati dall’Isis o da altra sigla.

Ma proprio questo è, forse, il fatto più grave ed allarmante. Il terrorismo mostra di avere ramificazioni incontrollabili, vaste e profonde.

A ben vedere anche la strage compiuta dal folle ragazzo tedesco-iraniano a Monaco è, anch’essa, espressione del dilagare del terrorismo che domina anche le menti dei folli indiscutibilmente tali. Se l’odio primordiale dei musulmani per il Cristianesimo, la Chiesa, il Clero si espande nella periferia incontrollata del terrorismo, c’è il rischio che ne sia influenzata, poi, anche la strategia degli attacchi meglio preparati e più attentamente diretti.

Se qualcuno ha fatto conto della posizione più “comprensiva” di Bergoglio come parafulmine per Roma, la Chiesa, le folle di Fedeli, dovrà rivedere questo suo ottimismo.

Al contempo il diffondersi e l’estendersi tra soggetti e in direzioni incontrollabili del terrorismo, l’accentuarsi della sua matrice (e della direzione verso obiettivi religiosi) dei suoi assalti, renderà sempre più difficile la pervicace predicazione dell’”accoglienza” indiscriminata e della risposta caritatevole all’invasione.

Non pretendiamo di fare pronostici, né di ipotizzare come la storia giudicherà domani il ruolo di Papa Francesco.

Ma quel che è avvenuto stamani a Saint Etienne du Rouvray sembra destinato a segnare una svolta.

Mauro Mellini

26.07.2016

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