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Rieccoli: i Vescovi voglio un loro partito
E’ dato oramai per sicuro che l’apparato organizzativo cattolico tornerà a mettere in piedi un partito che ne esprima principi… Leggi tutto -
Forse litigano per tranquillizzarci
La lite, oramai cronica tra Cinquestelle e Salviniani non accenna a placarsi né sembra che una soluzione comune stia per… Leggi tutto -
Conoscere per deliberare
di Giovanni Di Carlo Ho cominciato ad ascoltare Radio Radicale all’età di sette anni. Mio padre, accompagnandomi a scuola ogni… Leggi tutto
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Liberale, n. 13
VERSO IL PORTO
di Giovanni Di Carlo
Dodici anni fa, nella giornata di ieri, si spegneva, fra le rassicuranti note della musica di Bob Dylan, Piergiorgio Welby, sin da giovane affetto da distrofia muscolare e da anni costretto — letteralmente, peraltro — a vivere con l’ausilio di un respiratore automatico. Le martorianti e degradanti condizioni in cui portava avanti la propria esistenza lo indussero a richiedere ripetutamente l’interruzione dell’agonia cui era condannato dallo Stato italiano, colpevolmente consapevole della presenza di un anfrattuoso vuoto legislativo in meteria.
Nell’ottobre scorso, la Corte Costituzionale ha scelto di esprimersi riguardo l’aberrante e medioevale assenza di una qualsivoglia previsione legislativa riguardante l'eutanasia all’interno del Paese, riconoscendo l’urgenza di una normativa che la disciplinasse e limitandosi a rimettere la questione al Parlamento, auspicando potesse pronunciarsi in merito entro un anno, allo scadere del quale la parola sarebbe nuovamente tornata alla Consulta.
Risulta innegabile il valore di una pronuncia, per sua natura, significativa e sintomatica di un profondo interesse da parte della Corte, come peraltro sottolineato da Marco Cappato, leader dell’Associazione Luca Coscioni, ma contestualmente è inevitabile esternare una punta di scetticismo. Affidare una questione di tale entità ed urgenza ad una maggioranza parlamentare tenuta insieme da un farsesco “contratto” siglato in nome del totale disimpegno circa le tematiche più delicate — addirittura scomode per lo Stato italo-vaticano — rappresenta un azzardo non indifferente.
Sono da allora trascorsi, senza che alcun disegno di legge sia stato promosso, due lunghi mesi, un lasso di tempo che va ulteriormente a sommarsi ai già decorsi cinque anni durante i quali la proposta di legge di iniziativa popolare sulla legalizzazione dell’eutanasia, depositata alla Camera dei Deputati, non è neppure stata calendarizzata.
La tragica consuetudine con cui lo Stato italiano si disinteressa negligentemente del riconoscimento del naturale diritto a disporre pienamente e consapevolmente del proprio corpo è perversa ed illiberale, degna connotazione di un Paese retrivo e clericale, che soffoca in un bavaglio d’incoscienza la disperazione degli ultimi.
Nella straziante lettera che nel settembre del 2006 indirizzò all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Piergiorgio Welby descrisse l’eutanasia non in quanto «morte dignitosa, ma opportuna», poiché «dignitosa dovrebbe essere la vita».
Se non v’è diritto alla morte, non v’è diritto alla vita. Se non v’è diritto, non v’è dignità.
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Roma: stato di emergenza stradale
Nel mio libro “C’era una volta Montecitorio” potrebbe essere aggiunto un capitolo che richiederebbe, però un lavoro di archivio con un materiale sterminato e, comunque, per non lasciar fuori la parte più succosa e, per chi sappia divertirsi, avrebbe dovuto “sconfinare” per comprendere un’epoca ben al di là del periodo che è oggetto di quello scritto, cioè quella attuale. La storia degli emendamenti. Ero ancora studente di giurisprudenza quando mi balenò per la testa l’idea di un’opera che non ho… Leggi tutto
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